EMANUELA ROSSI
LA VOCE DELLE STELLE DEL CINEMA
EMANUELA ROSSI
LA VOCE DELLE STELLE DEL CINEMA

FIGLIA D’ARTE

Non sono figlia d’arte, anche se ho un fratello maggiore, Massimo, e uno minore, Riccardo, che fanno il mio stesso mestiere: il doppiaggio è il nostro lavoro e la nostra vita. Anche i miei cugini sono doppiatori. Ma questa comune attività è stata una cosa del tutto fortuita, una pura coincidenza..
Molto vagamente posso attingere a delle origini artistiche tramite i miei nonni materni: mio nonno faceva la comparsa in teatro e mia nonna pure. Una volta, casualmente, venni a sapere da un racconto di mamma che i nonni si erano conosciuti e innamorati dietro le quinte dell’Aida.
Mi piace ricordare questo aneddoto: è una coincidenza simpatica, che racconto sempre quando mi chiedono se sono figlia d’arte.

IL DESTINO IN UNA BUGIA

Sono nata a Roma il 24 gennaio del ’59, seconda di tre fratelli. L’unica femmina, quindi molto amata e molto coccolata; ho avuto un’infanzia serena, senza traumi. Molto presto, a soli sette anni, ho incontrato quello che, segnando il mio destino, sarebbe diventato il lavoro della mia vita.
Aveva iniziato col doppiaggio mio fratello Massimo, in modo del tutto casuale..
E poi, un giorno…, come volle il destino, toccò anche a me… Bisognava fare una scena, il direttore del doppiaggio era impaziente; ed ecco, finalmente, la frase fatidica: “Si sta facendo tardi. La facciamo dire a lei!”. Poi, rivolto a me, chiese: “Ma tu lo sai fare il doppiaggio?”. Io risposi mentendo spudoratamente perché avevo una voglia matta di esibirmi: “Sì, sì, lo so fare!”.
Quella è stata la prima volta in cui sono salita su un panchetto, perché ero piccolina…E da lì è cominciato tutto.

IO SONO PIPPI CALZE LUNGHE

Pippi Calzelunghe – un grande personaggio televisivo della fine degli anni Sessanta interpretato da Inger Nilsson, allora una bambina della mia stessa età – è rimasta nell’immaginario di una generazione: un autentico mito.
Era il 1970 quando la serie venne trasmessa per la prima volta in Italia.
E così come tutti i bambini si divertivano a vedere Pippi, così io mi divertivo a doppiarla…Mi sarei riconosciuta completamente in quel personaggio se qualcosa non mi avesse trattenuta: mi sarebbe piaciuto troppo comportarmi come Pippi, ma non me lo potevo permettere. Per senso di responsabilità.
Però io dentro sono come lei…

CRESCERE CON I GRANDI DELLA TV E DEL CINEMA ITALIANO

 Ho avuto la fortuna di cominciare da bambina, di entrare in questo mondo quando il doppiaggio era a un altro livello professionale, in un’epoca in cui potevi conoscere professionisti straordinari, molti dei quali provenienti dal teatro; e ho imparato il mestiere da “voci famose”, che hanno conferito onore e prestigio a questo lavoro.
Ormai sono personaggi storici, che fanno parte della tradizione del doppiaggio italiano. Ne cito solo alcuni: Giulio Panicali, che era il doppiatore di Tyrone Power, Emilio Cigoli, la voce storica di John Wayne e di Burt Lancaster, Lydia Simoneschi, la voce di Vivian Leigh – in “Via col vento”- e anche quella di Rita Hayworth, e poi, ancora, Rosalba Calavetta, Anna Miserocchi…Ma lavoravo anche con grandi attori e registi italiani…Ho lavorato con Bolognini, con Monicelli, con Ettore Scola; e la cosa bella è che spesso i registi presenziavano anche al lavoro di doppiaggio e ti davano suggerimenti e consigli come se tu fossi un loro attore in tutto e per tutto.

MITI DEI BAMBINI NEGLI ANNI SETTANTA

Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza felici, ma certamente diverse da quelle dei miei coetanei… Mi sentivo un’altra nella testa; e lo ero anche emotivamente. Chissà per quali strani meccanismi mentali!
Ricordo quando doppiai “L’ultima neve di primavera”, un film strappalacrime del ’73. È la storia di un bambino di 12-13 anni, orfano di madre, che a un certo punto si ammala di leucemia e poi muore. Un film tristissimo, che mi ha scioccato davvero: Certo mi divertivo anche: oltre a Pippi Calzelunghe, ho doppiato “Gli Aristogatti”, “Jeeg Robot d’acciaio”, “Ufo Robot Goldrake” – molta gente ancora mi riconosce per questo, i primi cartoni giapponesi avevano dei fan incredibili – , un film della Disney che si chiamava “Pomi d’ottone e manici di scopa”, insomma tante pellicole che hanno accompagnato l’infanzia di chi, come me, era nato negli anni Sessanta o giù di lì.

E BASTA CON QUESTI MASCHI

Il mio lavoro mi ha sempre molto appassionata, anche quand’ero molto giovane. Uscivo da scuola, entravo dentro casa e chiedevo a mia madre: “Mi hanno chiamato? Oggi devo andare a lavorare?”.
Da un certo punto di vista è stata un po’ una fortuna, perché per me era come un gioco: non ho mai sentito il peso del lavoro; oggi, ripensandoci, so che tutto questo, in qualche modo, ha un po’ deviato quello che poteva essere il corso naturale della mia infanzia e dell’adolescenza.
Una mia caratteristica è che doppiavo quasi sempre i maschi, dal momento che avevo una voce particolare: e anche questo, psicologicamente, non è stato, forse, del tutto privo di conseguenze. Mi trovavo a confrontarmi sempre con un mondo maschile, anche se legato all’infanzia.
E forse, anche per un fatto di rivalsa professionale, a un certo punto cominciai a lamentarmi esplicitamente con mia madre chiedendole di non accettare più per me quei ruoli. Così lei cominciò a rifiutare tutti i film in cui mi proponevano di doppiare maschi e per questo motivo il lavoro venne un po’ a mancare. Almeno per un certo periodo.

I PRIMI RUOLI AL FEMMINILE

Poi, non so se in seguito alla mia decisione di non accettare più ruoli maschili oppure per conseguenza naturale, Ferruccio Amendola.. mi chiamò a doppiare “Breezy”, un film in cui un uomo maturo, interpretato da William Holden, si innamorava di una ragazza giovane.
Poi ho lavorato al film di Lattuada “Le farò da padre”: un’opera importante e difficile, che ha segnato positivamente la mia carriera. Doppiavo Teresa Ann Savoy, che interpretava la parte di una giovane disabile psichica, incapace di parlare.
Ho rivisto ultimamente Gigi Proietti una sera a cena e abbiamo parlato anche dei vecchi tempi…Ci siamo poi ritrovati in un altro lavoro importante, del 1977, in cui dirigeva il doppiaggio: si trattava del film di Robert Altman “Tre donne”.
Avevo conosciuto Robert Altman quando era venuto in Italia per scegliere le voci per questo suo film: e aveva scelto proprio me. Un grande onore.
Lo stesso accadde poi qualche anno dopo, nel 1981, con John Boorman, regista di Excalibur, un altro film che è rimasto nella storia.

I NOSTRI FIGLI, i progetti futuri 

 Chi ha il sacro fuoco e vuole approcciarsi a questo lavoro deve mettersi in testa che occorre studiare…Un lavoro molto duro, se vuoi farlo bene; e anche se lo fai meno bene, con meno attitudine e qualità, richiede comunque un approccio serio.
Adesso, dopo aver lavorato tanto, e amando appassionatamente il mio lavoro, mi piacerebbe tanto insegnare; vorrei aprire una mia scuola di doppiaggio. Mi auguro di riuscirci…
Ho lavorato tanto, per anni mi sono impegnata nel mio lavoro, avendo anche riconoscimenti importanti. Ho cercato di interpretare al meglio la mia vita professionale senza trascurare la mia vita privata. Oggi vorrei riappropriarmi un po’ di quelli che sono i miei desideri, i miei sogni, le mie aspirazioni. Vorrei esprimermi pienamente, per quelle che sono le mie capacità. Insomma, vorrei dare più corpo a questa voce.